venerdì 21 gennaio 2011

Federalismo quanto mi costi?



In principio era la secessione, poi il federalismo, ora si chiama federalismo fiscale.
Comunque lo si definisca piace al Nord che lo interpreta come: "teniamoci i soldi per noi", mentre la maggioranza degli Italiani ignora i presunti vantaggi di un'Italia federale.
In questi giorni assistiamo all'accelerata del Governo per far passare il testo alla camera, incalzato da una Lega che minaccia le urne anticipate qualora non venga approvato.

Per quanto il federalismo sia visto come la panacea di tutti i mali del Belpaese, ancora non è chiaro in che modo potrà risollevare le sorti di una finanza publica disastrata.
Ci prova Tremonti a chiarire le idee spiegandoci che "la riforma non e' solo un esercizio finanziario ma serve a riportare sotto controllo tutte le voci della finanza pubblica".

Per il ministro "l'Italia era più federalista ai tempi di Mussolini di quanto lo sia adesso. Si è scelto di portare tutto il potere al centro e il centro, caricato di troppi oneri, se ne libera cominciando a fabbricare debito pubblico".
"l'Italia" - ha osservato ancora Tremonti - "è diventata un paese con altissimo debito pubblico, altissima inefficienza amministrativa, elevatissima evasione fiscale e non elevato grado di moralità nell'amministrazione della cosa pubblica. Tutti fattori che dipendono dalla scelta di concentrare tutto al centro. E' un albero storto che va raddrizzato".

Ma quanto ci costerà questa prodigiosa riforma?
Saranno necessarie nuove sedi, nuovo personale e stipendi, il costo della devolution non è noto, come lo stesso Tremonti ammette.

Secondo Calderoli non costerà niente. Niente perchè a suo parere il personale "federale" verrà trasferito da quello statale, anche se l'impressione è che man mano che le regioni si consolidano i "trasferiti" siano effettivamente pochi.
In un'altra occasione il coordinatore della Lega ha dichiarato che il problema non esiste perché "tutti gli Stati federali costano meno di quelli centrali".
Peccato che tutti gli stati federali attualmente esistenti sono nati come tali, pertanto non è possibile sapere quanto sarebbero costati se fossero stati centralizzati.
Nessuno sa inoltre di quanto si allungheranno i tempi decisionali, perchè è chiaro che in un Governo decentralizzato aumenteranno i veti e i blocchi su qualunque iniziativa politica ed economica.
Tuttavia i costi elevati dipendono anche dall'incompetenza e dal clientelismo del personale che lavora, quindi il rischio è che si passi da un'unico centro di Governo, costoso e inefficiente, a una sfilza di Governi Regionali, così da paralizzare del tutto il paese e lievitando i costi già altissimi dell'amministrazione.
Senza contare che man mano che si scende a sud il reclutamento di personale é scandalosamente familistico e pericolosamente infiltrato dalla malavita. Le assunzioni non avverrebbero per merito, ammesso che ora lo siano, ma con l'obiettivo di allevare clientele elettorali.

Un federalismo di questo tipo sarebbe davvero un bel risultato.

Mentre i paesi Europei vanno in direzione di un unico Governo centrale , con l'obiettivo di realizzare un'unificazione reale, con strade e ferrovie di migliaia di chilometri, da noi un comune blocca un cavalcavia o un traliccio dell'alta tensione, con l'unico scopo di battere cassa, questa riforma non farà altro che accentuare questo tipo di problemi.

La riforma porterà il paese già frammentato ad essere ancora più diviso, con un Nord ricco ed e un Sud estremamente più povero, dominato dalla malavita e dalle raccomandazioni.
A quel punto il rischio di una secessione diventerebbe reale a causa dell'eccessiva disparità di ricchezza.
Neppure è chiaro cosa accadrebbe a quelle Regioni che già adesso sono indebitale fino al collo.
In un sistema federale "reale", come negli Stati Uniti, una città può fallire.
Da noi città come Roma, Palermo e Napoli saranno realmente libere di farlo? E cosa accadrebbe a quel punto?

Un dibattito pubblico vero, sulla reale convenienza del federalismo sarebbe sacrosanto, una riforma di questa portata non può essere considerata un mero strumento di propaganda Leghista, imposto sotto la minaccia delle urne anticipate. Purtoppo l'attenzione degli Italiani è al momento rivolta altrove, anche grazie ai giornali e alle televisioni, che fanno la loro parte.

mercoledì 19 gennaio 2011

Dove finisce la politica.


Basta.
Questa è l'unica parola che ci sentiamo di dire, di fronte all'ennesimo scandalo sessuale che ha travolto il Premier Silvio Berlusconi. Non ci rivolgiamo a lui direttamente, poichè non è evidentemente in grado di mettersi al riparo dal fango che gli viene gettato addosso di continuo, ma proprio ai quotidiani che ci bombardano con titoli di prima pagina su Ruby, sui Bunga Bunga e sulla vita sentimentale di un uomo che all'estero è considerato lo specchio della povera Italia.
Italiani brava gente, non più pizza e mandolino ma Bunga Bunga e prostitute, costretti a sopportare l'esuberanza di un premier incapace di realizzare di essere diventato nient'altro che un relitto politico.
Incastrato in una maggioranza farlocca, protratto con tutte le sue forze verso il tentativo di far approvare il legittimo impedimento, unica possibilità rimasta per scampare ai processi pendenti.
Ostaggio di Bossi, che da Pontida tuona contro "Roma ladrona" perchè passino le sue riforme pseudo-secessioniste, affinchè il nord sia libero dal sud parassita.
Eppure non ci sentiamo di incolpare totalmente il presidente "latin lover", gran parte della responsabilità va ai giornali, che non perdono occasione per soffocare le notizie "vere" con dello squallido gossip, mentre la magistratura dimostra un evidente interesse nel distogliere l'attenzione dai problemi veri, pur di demolire mediaticamente Silvio
Grazie a loro il dibattito politico viene annichilito dal fragore delle feste e dalle escort spregiudicate, mentre tutto il resto va in pezzi.

Tutto tace sulla vicenda Fiat, mentre i lavoratori perdono i diritti conquistati in anni di battaglie sociali.
Non una voce di protesta si è levata dal Governo per condannare l'operato di Marchionne mentre minaccia di chiudere Mirafiori, se le sue richieste non passano senza condizioni.
In altri paesi i capi di Stato trattano direttamente con il manager, pretendendo tutela dell'occupazione, da noi si cede al ricatto "o così o ce ne andiamo" e si dà la colpa ai sindacati.
In Afghanistan muoiono i nostri soldati per una guerra le cui ragioni ancora non ci sono state spiegate, mentre l'unico laconico commento del Premier è:

"Sono addolorato, mi chiedo se ne valga veramente la pena."

Non spetta al Governo Italiano stabilire se ne vale la pena o no?
Ma forse i membri del Governo sono troppo presi dai giochi di palazzo, nel tentativo di garantirsi una sedia cercando di comprendere se la maggioranza abbia ancora un futuro, o se il crollo sia inevitabile, a causa delle rivelazioni di una giovane escort Marocchina.
E quale giudizio dare ai giornali che danno più spazio a Ruby Rubacuori, anzichè all'uccisione dell'ultimo Alpino a Bala Murghab?
Le dimmissioni rappresentano l'ultimo gesto sensato di un Premier che non è più, scalzato dai Tremonti e dai Bossi che non vedono l'ora si levi dai piedi.

Ma forse è solo questione di tempo, logorato dagli anni in politica e dalle lotte con i magistrati, prima o poi il Cavaliere sarà costretto a scendere dal trono.
I suoi nemici lo attendono pazienti per portarlo alla gogna e anche in quel momento sarà al centro dell'attenzione. Unica speranza è che per allora l'Italia esista ancora come la conosciamo, e che non esistano una Republica Italiana del Sud e una Padania.

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