lunedì 16 agosto 2010
La Turchia e la deriva Islamica
L'intervento dell'esercito israeliano contro la "Freedom Flotilla" ha aperto scenari internazionali a dir poco impensabili fino a pochi anni fa. La Turchia, paese storicamente laico, si sta avvicinando sempre di più all'Iran di Ahmadinejad, voltando le spalle all'alleato Israele.
La tenuta dell'asse israelo-turco rappresenta uno dei punti fermi della strategia mediorientale degli Stati Uniti, in quanto Ankara rappresenta un partner essenziale per controllare gli equilibri in medio oriente e nel Caucaso e nel supporto delle truppe schierate in Iraq.
Baluardo islamico della NATO, la Turchia è da sempre il mediatore con i vicini paesi arabi e l'ostacolo principale alla penetrazione iraniano-sciita in Asia.
Finora i garanti della laicità dello stato sono stati i militari Turchi, ma il recente scandalo dovuto alla scoperta del tentativo di golpe, ha ridimensionato l'importanza dei generali, consentendo l'ascesa del partito islamico. Da questo ne è conseguito un pericoloso avvicinamento al mondo islamico orientale e in particolare all'Iran, secondo lo slogan, proposto dal ministro degli esteri Davetoglu :"Zero problemi con i vicini".
Ad aumentare gli attriti ci ha pensato l'intesa raggiunta con Teheran, insieme al Brasile, per il trasferimento di uranio in cambio di combustibile atomico, mal vista dalla diplomazia statunitense che l'ha definita inaccettabile, chiedendo al Consiglio di Sicurezza di procedere con le sanzioni. Gran parte della responsabilità di questa deriva sembra ricadere anche sull'Europa, che ritarda deliberatamente il processo di adesione all'Unione.
Secondo alcune indiscrezioni è inoltre a rischio una fornitura di nuovi armamenti ai Turchi, evidenziando una crescente diffidenza dell'amministrazione Obama.
Anche i rapporti tra Stati Uniti e Israele sono ai minimi storici, a causa del blitz che ha causato l'annullamento della visita di stato di Netanyahu negli USA e un'aumento dell'insofferenza nei confronti della questione Palestinese.
In America si sta diffondendo l'idea che Israele non sia più una risorsa ma un peso, aumentandone la percezione di "accerchiamento".
I media sostengono la tesi del complotto, secondo cui la Freedom Flotilla era una trappola politico-militare, tesa al governo Netanyahu per deteriorare l'immagine di Israele nel mondo e isolarla diplomaticamente.
Sullo sfondo resta lo spettro di una nuova Intifada, con nuove ondate di violenza sulla striscia di Gaza e in Libano e la minaccia di un'attacco preventivo contro l'Iran, che rischia di infiammare tutta la regione.
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