lunedì 2 agosto 2010

La FIAT è solo l'inizio

Da sempre il mercato dell'auto in Europa è stato considerato una fonte di posti di lavoro, sovvenzionato ed aiutato dai governi. La FIAT non ha fatto eccezione e con i suoi stabilimenti sparsi per tutta l'Italia ha contribuito a creare occupazione e benessere. In un mondo globalizzato stiamo però assistendo allo spostamento della capacità produttiva nei paesi in via di sviluppo, in modo da realizzare guadagni maggiori sfruttando il basso costo della manodopera. L'apertura dei mercati ha fatto sì che le aziende Italiane e Europee, si trovassero a dover competere con aziende situate in paesi dove lo stipendio è un decimo se non meno del nostro. Ne consegue che un'azienda può mantenere la produzione in Europa solo se le condizioni salariali, conquistate in decenni di battaglie sociali, vengono rinegoziate. Ed è proprio ciò che sta accadendo in questi giorni nel braccio di ferro tra i sindacati e l'amministratore delegato di FIAT che, minacciando di spostare le linee di produzione delle nuove vetture, chiede di modificare il contratto dei lavoratori, aumentando i turni e pretendendo maggiore flessibilità. Si giustifica sostenendo che negli altri paesi come la Polonia i contratti sono già così, quindi se gli altri stanno peggio anche noi dobbiamo adeguarci al loro standard, perseguendo una strategia perversa che prevede di produrre dove costa meno, per poi rivendere con elevati ricavi nei paesi sviluppati. Tuttavia spostando tutte le aziende all'estero, si lasciano a casa quegli stessi lavoratori che dovrebbero essere clienti. Purtroppo questo fenomeno è solo agli inizi e se non viene fermato politicamente con scelte protezionistiche coraggiose, avremo sempre più disoccupati e sempre più problemi di ordine sociale. Sembrerebbe quasi che l'obiettivo perseguito da queste aziende sia quello di privarci dei nostri diritti di lavoratori, abbassando il nostro tenore di vita con la minaccia della disoccupazione. Forse quando ci domandiamo come saremo tra vent'anni dovremmo guardare come sono oggi i lavoratori Cinesi e Indiani e pensare: "Ecco saremo così."

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